Una figura da consolidare

Intervista a: Francesca Venturini

  • Data 01 settembre 2023
Francesca Venturini

Una figura da consolidare

Maggior riconoscimento, revisione degli aspetti normativi e formativi, consolidamento delle attività delle farmacie ospedaliere e dei servizi farmaceutici territoriali delle Asl. In una fase di auspicata ridefinizione del ruolo del farmacista clinico, Punto Effe ha incontrato Francesca Venturini, direttrice di Farmacia dell’Azienda Ospedale-Università di Padova e presidente di Sifact, Società italiana di farmacia clinica e terapia.

 

Come si può definire, oggi, il farmacista clinico?

In accordo alla definizione di farmacia clinica, direi che il farmacista clinico e il professionista che fornisce assistenza farmaceutica direttamente rivolta al paziente, con l’obiettivo di ottimizzarne la terapia e migliorarne lo stato di salute. Per poter fare questo deve appartenere a un team assistenziale e avere un proprio settore specifico di competenza. Inoltre, il contributo del farmacista clinico dovrebbe essere riconosciuto e trovare uno spazio nel percorso di cura del paziente, come accade,  per esempio, con altri specialisti chiamati in causa per una consulenza, dal cardiologo all’infettivologo.

 

In occasione dell’evento “Gli stati generali della professione farmaceutica”, si è molto parlato del ruolo del farmacista clinico. 
Cosa ci può dire in proposito?

Mi preme prima di tutto definire gli Stati generali un “progetto”, nato con l’obiettivo di fare il punto sul percorso professionale del farmacista del Servizio sanitario nazionale, al fine di individuarne l’evoluzione in termini di tipologie, quantità e qualità delle attività che, nel tempo, sono evolute insieme al contesto. 

 

Come si possono sintetizzare i risultati dell’incontro?

Dai lavori che hanno coinvolto società  scientifiche, istituzioni e rappresentanti del mondo accademico, è emerso come a  questo punto sia necessaria una rivisitazione normativa delle attività dei farmacisti del Servizio sanitario nazionale. Quello che facciamo non corrisponde a quanto è stato delineato nel Dpr del 1969 e si rifà a modelli che non sono compatibili con l’attività attuale.

 

In che senso?

Mi riferisco, per esempio, alla grande mole di attività di supporto svolta in ospedale e rivolta a clinici e infermieri, per quanto riguarda  il buon uso dei farmaci. Ma anche ad aspetti che, in altri Paesi, sono chiaramente esplicitati tra i compiti del farmacista clinico. Il farmacista dovrebbe verificare tutte le prescrizioni che vengono fatte in un ospedale; ma poiché questo non rientra tra le responsabilità chiaramente definite, non avviene sempre. Il nostro obiettivo, durante gli Stati generali, è stato quello di fare emergere quei modelli di aziende ospedaliere e sanitarie che operano in tal senso, affinché possano diffondersi ed essere replicati a sistema.

 

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