Presente nell'uscita: N. 8/24
Quando, quasi sette anni fa, gli chiedemmo (Punto Effe n. 16/2017) del Fondo sanitario nazionale la risposta fu: «È l’unico che ci possiamo permettere alla luce della finanza pubblica ma è insufficiente rispetto alle necessità». Oggi torniamo a fare il punto sul nostro sistema sanitario con Francesco Longo - docente alla Sda Bocconi, direttore del Cergas e componente del Consiglio superiore di sanità - e la situazione (con una pandemia di mezzo) non sembra di molto cambiata.
Professore, lo “stato di salute” del nostro Ssn è migliorato o peggiorato in questi ultimi anni?
Il nostro Servizio sanitario nazionale è sufficientemente efficiente. Il problema è il finanziamento, che corrisponde al 6,3% del Pil in un Paese che è il secondo più vecchio del mondo. Il sistema britannico, che è simile al nostro, si attesta sul 9% del Pil, con una popolazione più giovane della nostra; in Francia e Germania si viaggia sul 10%, ma i loro sistemi sono diversi.
Poche o tante, le risorse, sono spese bene?
Relativamente bene, se consideriamo che il 38% degli italiani ha una patologia cronica. Alla fine si tratta di scelte politiche. Recentemente, per esempio, si è preferito finanziare con oltre cento miliardi il bonus 110% piuttosto che investire in sanità. Ora ci troviamo nella condizione di una famiglia di quattro persone che vuole fare dieci giorni al mare spendendo duemila euro.
Bella metafora…
Il problema è che a destra come a sinistra si parla ancora di Ssn come sistema universalistico, che in realtà, viste le risorse impiegate, non è più. Faccio un esempio, da alcune ricerche fatte in Regioni del nord risulta che circa la metà delle ricette Ssn nelle mani dei cittadini non viene “consumata”. In pratica il Ssn prescrive molto di più di quello che è in grado di produrre. Un paziente deve fare una risonanza entro tre mesi? Ha la ricetta in mano ma una prenotazione entro i tre mesi non la trova mai.
E a quel punto?
A quel punto gli italiani si dividono in tre categorie, con percentuali che variano da regione a regione. Una categoria che paga, una che aspetta, una che rinuncia. L’Istat ci dice che nel 2022 il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali è stato pagato privatamente; se poi si parla di accertamenti diagnostici la quota è del 30%. Tirando le somme il nostro Ssn, che si dice universalistico, tutela le cure ospedaliere, le cure primarie, la spesa farmaceutica ma ha praticamente abbandonato l’assistenza ambulatoriale. Bisognerebbe innanzitutto fare chiarezza.